Ross Music Box: intervista a Giovanni Conelli

Nuovo appuntamento con la rubrica Ross Music BoxUno spazio virtuale dedicato ai piccoli e grandi progetti musicali a cui prestare attenzione nel vasto panorama musicale italiano.

Ho avuto il piacere di fare una chiacchierata con il cantautore partenopeo Giovanni Conelli in occasione dell’uscita del suo nuovo disco: “Di Viaggio, di Fiori e di altre Spine”.  Il terzo lavoro di Giovanni ha visto la luce grazie ai contributi ottenuti sulla piattaforma di Musicraiser, dove il crowdfunding è stato accolto con fiducia raggiungendo la cifra prefissata in anticipo sui tempi di scadenza.

Giovanni Conelli, classe ’93, ha radici a Napoli ma nei tempi più recenti, ad esibirsi a Roma, Milano, Novara, Lecco fino a spingersi a Vienna e Passau. La forza di “Di Viaggio, di Fiori e di altre Spine” sta nell’addensare le esperienze dell’artista in quattro brani dall’approccio orientato all’elettronica più profonda ed avvolgente, amplificata dai testi ermetici ed evocativi.

Un disco per viaggiare, che tocca corde delicate ed intime della mente e del cuore dell’ascoltatore che riesce a cogliere la particolarità della sua musica.

 

Di Viaggio, Di Fiori e di altre Spine: come mai hai scelto questo titolo per il tuo ep?

“Di viaggio, di fiori e di altre spine” è la locuzione perfetta per dipingere i tratti di base del mio percorso personale negli ultimi due anni.  La vita mi ha regalato tanti viaggi, reali o emotivi. Tanti fiori profumati da tenere tra le mani e anche tante spine da dover estrarre dalla carne.

Il viaggio è inteso come ricerca ed evoluzione del proprio essere, il fiore è un simbolo d’amore, di sensualità (vedi lo splendore di Georgia O’ Keeffe), di morte e rigenerazione, la spina è un incontro imprescindibile, l’occasione perfetta per superare una crisi e rinascere.

“Di viaggio, di fiori e di altre spine”, la copertina del disco.
L’EP è nato dopo un processo creativo di due anni: come sei cambiato tu e come è cambiata la tua musica?

Gli ultimi due anni mi hanno tolto la paura di dosso.  Mi ricordo ancora impaurito e tremante prima di salire sul palco. Il pubblico mi ascoltava di meno perché ero abituato a pensare alla mia musica come il vizio superfluo di un ragazzino.

Gli ultimi due anni mi sono serviti per acquistare una nuova coscienza personale e artistica. Non importa quante persone mi ascoltano, non importa dove sto suonando, non importa quante critiche sto ricevendo, importa solo il mio fare che, come ogni fatica, è sacro.

Giovanni Conelli fotografato da Antonio Pensiero
Giovanni Conelli. Foto di Antonio Pensiero

 

Ci racconti le storie dietro i quattro brani che lo compongono?

Più che di storie, parlerei di quattro intuizioni.

  • “Le spine” è la cupa narrazione di un amore che ha deciso di farcela ad ogni costo. Nonostante ci si possa pungere all’infinito, in questa canzone, non mi focalizzo più sul dolore. Mi focalizzo sulla sublimazione che un amore forte – spirituale e carnale – può concedere. Il processo di gestazione della scrittura di questa canzone è durato mesi. Mi ricordo ancora in un bus per Praga nel cuore della notte a cercare disperatamente una forma musicale che potesse esprimere qualcosa di così intenso.  Scriverne il testo successivamente è stata una vera tortura, non avevo la padronanza per rendere l’idea di qualcosa di così grande. Una mattina poi ero in un letto a Vienna e mi sono lasciato ispirare dal libretto dell’opera lirica di Claude Debussy “Pelleas et Melisande”. “Ho il sole della sera negli occhi” dice Melisande all’inizio del quinto atto, finalmente qualcuno mi aveva dato accesso ad un mondo che portavo sepolto dentro me.
  • “Habibi”,  termine che dall’arabo vuol dire “amore mio”, è invece una canzone d’odio. Un’implorazione sadica affinché il rapporto stagnante con una persona possa svanire improvvisamente dalla tua vita. Ricordo di aver scritto il testo mentre aspettavo il treno alla stazione di Milano Villapizzone.  Più che scrivere è stato come vomitare un veleno che mi tenevo dentro da tempo. Devo ringraziare il sound designer milanese Riccardo Santalucia. Riccardo ha preso la canzone avevo scritto e l’ha completamente stravolta, l’ha resa violenta, quasi rivoltante.
  • “Istanbul” è il viaggio non solo reale. Il viaggio quello di quando dopo, aver attraversato tutti i Balcani,  arrivai a Istanbul per la prima volta. Mi pareva di avere gli occhi foderati d’oro puro, ma anche l’allucinazione interiore di una continua ricerca. Racconta la predisposizione all’incontro, il ricordo lontano di un cuore lacerato. Racconta la meraviglia della cultura turca e la rappresentazione del mondo islamico, purtroppo drammaticamente distorta oggi da noi occidentali.
  •  “La pelle morta” è gli stormi di uccelli migranti che d’autunno passano da Milano. Gli stromi trasformano il cielo di una città d’acciaio duro in un enorme manto di seta pregiato. Questa canzone parla della mia sofferenza, della volontà di affermazione della mia libertà individuale. Parla soprattutto dello spirito di abnegazione di mia madre, sempre pronta alla rinuncia pur di permettere una mia personalissima evoluzione.

 

Ascolta il disco su Spotify

I tuoi live sono accompagnati sempre da proiezioni che rendono l’esperienza con la tua musica ancora più “immersiva”. Sono anch’essi opera tua oppure chi li ha realizzati?

I miei live sono accompagnati da proiezioni solo quando la struttura in cui mi esibisco lo permette, ahimè. Si tratta di solito di spezzoni di produzioni visive già esistenti, è un modo come un altro per estendere la percezione della mia musica a qualcosa di più ampio, a una performance multimediale.

Non so a quanto possa servire, negli ultimi tempi mi accorgo sempre di più che la gente chiude gli occhi durante i miei concerti e questo è bello, bellissimo… romantico, in un mondo iperconesso in cui l’empatia non è più una virtù.

 

Hai avuto modo di esibirti all’estero in città come Vienna e Passau: mi racconti queste due esperienze e cosa ti hanno lasciato dentro?

Le esperienze in Austria e in Germania sono state intense ed estremamente formative. Mi sono sentito nel posto giusto al momento giusto, la gente non capiva i miei testi, ma intuiva i miei brividi e le mie gioie mentre suonavo. E’ stato difficile, intenso, grandioso.

Istanbul panorama
Istanbul, foto presente sulla pagina facebook di Giovanni

 

In chiusura una domanda particolare. Improvvisamente ti ritrovi ad essere nominato Ministro della Cultura. Quali sono i primi provvedimenti in ambito musicale che prenderesti e perché?

Istituirei dei fondi pubblici destinati ai giovani artisti. Fondi a cui l’artista può accedere tramite concorsi pubblici istituzionali, regolarmente svolti sottoposti a controlli strettissimi.   “Impara l’arte e mettila da parte”, ci hanno convinto di questo negli ultimi decenni. Io, invece, farei stampare sui muri di tutte le città italiane un nuovo motto “Impara l’arte e falla diventare un lavoro, è un tuo diritto, è un tuo dovere”.

 

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