Ross Music Box: intervista al cantautore Verrone, il 1 marzo 2024 è uscito il suo primo disco dal titolo “Legna per l’inverno”.
La rubrica Ross Music Box è uno spazio virtuale dedicato ai piccoli e grandi progetti musicali a cui prestare attenzione nel vasto panorama musicale italiano. Protagonista dell’intervista di oggi è il cantautore partenopeo Verrone.
Francesco Verrone in arte Verrone, classe ’90, è dal 2015 autore e bassista dei Ventinove e Trenta, band appartenente al filone del Newpolitan Power e tra le più attive del panorama emergente locale. Nel 2019 il loro debutto discografico, che vanta la produzione artistica di Valerio e Massimiliano Jovine (99 Posse) e le collaborazioni, tra gli altri, di Ciccio Merolla, Brunella Selo, Simona Boo.
Nello stesso anno Verrone battezza un nuovo percorso cautautorale, lasciando il vernacolo partenopeo per abbracciare la lingua italiana. La sua “Canzone del mattino dopo” viene scelta dalla storica casa editrice La Canzonetta per il terzo volume di Napoli Sound System, compilation che accostando nuove proposte a progetti già affermati (James Senese, Francesco Di Bella, Foja, La Maschera) mira a definire uno stato dell’arte della scena musicale campana. Nel 2021 il testo del brano “Notturno” vince la targa Federico de Florio come miglior componimento al premio nazionale di poesia e fotografia Cesare Filangieri.
Il suo primo album dal titolo “Legna per l’inverno” vede la produzione artistica da Dario di Pietro (LUK, Azul) ed è ispirato alle sonorità del folk e alle recenti esperienze dell’indie pop italiano. Ho scambiato quattro chiacchiere con Verrone su questo disco che ho trovato molto delicato, una vera carezza per le orecchie e per l’anima di chi lo ascolta.
Quale è il tuo primo ricordo legato alla musica?
Verrone: “Una pianolina rossa della Casio. I miei genitori me la comprarono quando avevo due, forse tre anni. È lì sopra che ho imparato a suonare, rigorosamente ad orecchio, rigorosamente in tonalità di do maggiore. A otto anni sono passato a un pianoforte verticale”.
Dalla esperienza in band a quella da solista. Come è nata questa esigenza?
Verrone: “Principalmente dalla voglia di approfondire nuove tematiche, più introspettive, in un nuovo linguaggio. I Ventinove e Trenta sono un progetto in napoletano, e io desideravo misurarmi con il cantautorato italiano che amo ascoltare. Così come volevo mettermi alla prova cantando ciò che scrivevo. Ho posato il basso e mi sono (ri)seduto al pianoforte”.
Quali sono gli artisti che hanno influenzato e influenzano ad oggi il tuo modo di fare musica?
Verrone: “Mi risulta difficile indicare delle influenze in senso lato. Quel che posso dire a posteriori riascoltando il disco è che ci ho trovato differenti rimandi ad artisti che ascolto con frequenza, a titolo esemplificativo i Kings of Convenience per le metriche ed i testi piani, la scena alternativa inglese (Interpol, Editors, Ben Howard) per come abbiamo trattato gli arrangiamenti (sfondi, ritmiche e suoni, in particolar modo quelli di chitarra elettrica)”.
Quali emozioni sono entrate a far parte di “Legna per l’inverno”?
Verrone: “Le canzoni del disco sono state tutte scritte lontano da casa. Esse fanno ciascuna i conti con la distanza, il ricordo, la malinconia. Esplorano sotto forma di dialogo l’importanza dell’altra persona come sostegno e conforto o il vuoto che lasciano quando questa non c’è”.
Mi racconti i sei brani che compongono “Legna per l’inverno”?
Verrone: “Copenaghen racconta il valore di una relazione passa anche per il modo di affrontare la crisi. Durante i periodi meno felici è ai ricordi belli che si deve tornare, per rintracciare in essi tutte le ragioni che ci uniscono all’altro e recuperarne il senso. Sono sempre state a portata di mano, anche se a volte non le vediamo con chiarezza. Il pianoforte disegna un’atmosfera dal taglio classico, perfezionata dai fraseggi delle chitarre elettriche.
La “scenografia” del brano Il molo di Brighton è una lunga palafitta bianca tra un mare di ferro e un cielo di piombo, con sopra giostre da luna park e chioschi di fish and chips. Alla fine del Brighton Pier, esposto a un vento freddo ma che non fa male, senti che c’è qualcosa di importante da dire a chi ti sta di fianco, eppure non trovi le parole giuste. La morbidezza dei suoni di tastiere e chitarre elettriche caratterizza un arrangiamento sognante e leggero.
L’ora blu per i fotografi è il momento del giorno in cui il sole è sparito ma si riescono ancora a riconoscere i contorni delle cose, a vederli in una luce diversa. Una spiaggia che si appresta al riposo dà una prospettiva nuova al presente, quella di chi lo vive intravedendo già la sua trasformazione nei ricordi di domani. L’aria malinconica del pezzo è retta da un intreccio di arpeggi di chitarre classica e acustica e dal ritmo esotico delle percussioni.
Selene racconta come non sempre riusciamo a tenerci strette tutte le persone che lasciano un segno dentro di noi, a volte semplicemente la vita ci rende distanti e non è colpa di nessuno. L’unico modo che abbiamo allora di avvicinarci a chi ci manca è viaggiare con la mente in un altro spazio, in un altro tempo, e immaginare quello che avrebbe potuto essere e invece non è stato. A marcare la disillusione è una ritmica solida, dritta e scarna.
Un fiume racconta i periodi bui ci portano a dubitare di tutto. Schiacciati dalle ansie le nostre ambizioni sembrano avere poca importanza, e trovare conforto in esse risulta così difficile. L’invito è quello di pensare sempre che si tornerà a fiorire, al momento giusto e con il sostegno giusto, come è nella natura delle cose. Al pianoforte il compito di dare solennità al messaggio.
Lontano è un inno a quelle persone capaci di tirare fuori il meglio di noi stimolandoci ad avere sempre curiosità ed energia, spingendoci a rompere il nostro guscio e uscire allo scoperto. Un brano essenzialmente acustico a meno del finale, quando l’ingresso della band al completo fornisce una coda robusta all’intero disco”.
Come è nata la collaborazione con Dario di Pietro?
Verrone: “Dario suonava la chitarra nei Ventinove e Trenta, ne è nata una grande amicizia e al momento di scegliere a chi affidare la produzione artistica del disco sono andato dritto da lui. Conosco i suoi gusti e anche la sua capacità di mediare tra le richieste dell’autore e la veste che il singolo pezzo richiederebbe, quasi naturalmente, di indossare”.
C’è un progetto grafico ben preciso dietro alla copertina del disco e non solo. Mi racconti come è nato?
Verrone: “Per l’estetica del disco mi sono affidato agli scatti di una artista americana Laura Zimmerman. La sua produzione si basa su una tecnica nota come ICM (intentional camera movement) che produce immagini molto evocative caratterizzate da sfocature, distorsioni, sovrapposizioni di colori e contorni. Le ho trovate molto adatte a illustrare quanto abbiamo cercato di rendere coi suoni degli arrangiamenti, al fine di costruire atmosfere oniriche e rarefatte che ben si sposassero con le tinte malinconiche e riflessive delle canzoni”.
Improvvisamente ti ritrovi a essere nominato Ministro della Cultura. Quali sono i primi provvedimenti in ambito musicale che prenderesti?
Verrone: “Mi batterei per dare agli artisti il giusto valore, anche economico. Non so come ovviamente, ma trovo paradossale che la musica sia parte così importante della nostra vita e che venga considerata così poco.
È ridicolo che in ogni istante abbiamo una canzone in testa ad accompagnarci, nel bene e nel male, a incoraggiarci, a emozionarci, a ricordarci chi siamo come scrive Brunori, e che invece un singolo stream valga centesimi di centesimi di euro a fronte di passione, energie, tempo, denaro investiti dai musicisti per dare al mondo tanta bellezza. Di cui, peraltro, oggi più di prima c’è grande bisogno”.